Cosa significa minare bitcoin?

Dalla corsa all'oro fisico dei minatori nel fiume Klondike, alla corsa all'oro digitale dei miners del nuovo millennio che acquistano hardware sempre più potente per avere una maggiore potenza computazionale e consumano grandi quantità di energia elettrica per poter minare bitcoin. Che futuro dobbiamo aspettarci? Dove ci porterà questa corsa all'oro digitale? Scopriamolo con questo articolo.

minare bitcoin

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Nel 1896 tre esploratori armati di piccone e setaccio risalendo il fiume Klondike scoprirono grandi giacimenti d’oro. Da quel giorno ebbe iniziò una sfrenata corsa all’oro che coinvolse abitanti da tutto il globo.

Professori europei, industriali texani, fabbri, esploratori, ex-politici americani, tutti partirono verso un territorio ancora inesplorato per cercare riserve del prezioso metallo.

La migrazione in cerca di fortuna venne definita di corsa all'oro.

minatori                

Figura 1 Minatori nelle acque del fiume klondike

Nel 2009, ben 113 anni dopo, Satoshi Nakamoto minando il primo blocco della blockchain di Bitcoin (genesis block) ha sancito l’inizio di una nuova forma di corsa all’oro, quello digitale. Il mining di bitcoin.

Il 3 Gennaio del 2009, infatti, viene minato il primo blocco di Bitcoin. All’interno del primo blocco, oltre ai dati normali, Satoshi lasciò un’altra impronta testuale:

“ The Times 03/Jan/09 Chancellor on brink of second bailout of banks”

La notizia del secondo bailout verso le banche inglesi è stata notarizzata all’interno del primo blocco in modo da indicare la data di inizio del mining e forse per manifestare un’ulteriore critica al sistema economico e finanziario attuale. Non bisogna dimenticarsi che Satoshi Nakamoto faceva parte della community dei cypherpunks, realtà nota per le sue frange anarco-capitaliste.

Ma che cos’è e come funziona il mining di Bitcoin?

Il mining è il sistema attraverso il quale ogni transazione viene verificata e aggiunta all'interno del pubblico registro distribuito conosciuto come blockchain, ma è anche il processo che rende possibile l’emissione dei nuovi coins fino al raggiungimento del cap di 21 milioni.

La verifica delle transazioni

Una transazione bitcoin è rappresentata da una stringa alfanumerica esadecimale. Quando i nodi adibiti comunicano la transazione al network inglobandola all'interno di un blocco, quest’ultimo deve essere verificato. La verifica delle transazioni si ha grazie alla Proof-of-Work (PoW) o prova di lavoro

La Proof-of-Work è l’algoritmo di consenso sul quale si basano la maggior parte delle blockchains.

La PoW è a tutti gli effetti una prova di lavoro. I miners, consumando energia elettrica e utilizzando la potenza computazionale di hardware molto competitivi, dimostrano di aver sostenuto dei notevoli costi per verificare il blocco. Il pagamento di questi costi disincentiva fortemente i miner disonesti dal verificare transazioni non legittime.

L’idea dietro questo modello di sicurezza basato sugli incentivi economici deriva direttamente dalla teoria dei giochi. Sostanzialmente ad un miner non conviene verificare una transazione invalida perché per farlo dovrebbe sostenere dei costi molti elevati che mai eguaglierebbero i benefici che ne derivano. Inoltre, per verificare una transazione invalida non sarebbe sufficiente un solo miner disonesto bensì dovrebbero intervenire miners disonesti che congiuntamente dovrebbero raggiungere il 51% della potenza computazionale di tutta la rete (51% attack).

Come nel mining di oro i minatori si armavano di picconi, setacci e forza muscolare per riuscire ad estrarre il prezioso metallo, così nel mining di Bitcoin i miners si armano di hardware con elevata forza computazionale e di corrente elettrica per poter estrarre la criptovaluta. I minatori di Bitcoin acquistano degli strumenti e consumano risorse scarse come la corrente elettrica per poter partecipare a questa corsa al bitcoin.

Antminer

Figura 2 Antminer, hardware per minare Bitcoin

La politica monetaria

La seconda funzione dei miners è “l’emissione di moneta”. I miners, in competizione tra loro, utilizzano le loro risorse per risolvere il puzzle crittografico del blocco (PoW). Il primo in grado di risolverlo ha diritto all'assegnazione della ricompensa o reward. Il reward rappresenta l’emissione di moneta. Ad oggi, per ogni blocco minato, i miners ottengono 12.5 BTC. Questa somma è destinata ad esaurirsi entro il 2140. Infatti ogni 4 anni, Bitcoin subisce un dimezzamento o halving ovvero il reward per ogni blocco si dimezza. A maggio del 2020 ogni blocco minato permetterà di ottenere 6.25 Bitcoin. Questo sistema è stato teorizzato proprio per fornire a Bitcoin la caratteristica che lo ha reso una riserva di valore paragonabile all'oro: la scarsità. 

Il mining come business

Proprio come la corsa all’oro del Klondike, dal 2009 molti tecnici hanno iniziato ad attrezzarsi per poter minare più bitcoin possibili. Questo fenomeno ha portato alla nascita di gigantesche mining farm.

mining

Figura 3 Mining farm cinese

Una mining farm è un’attività che si occupa principalmente di estrazione di criptovalute. Nel 2009, per minare i blocchi di Bitcoin serviva una potenza computazionale minima, basti pensare che era sufficiente utilizzare una chiavetta USB per vedersi attribuire somme come 200 BTC al giorno. Ovviamente la profittabilità di questo mercato, come durante la corsa all'oro, ha indotto molti player ha utilizzare hardware per minare sempre più performanti. 

Satoshi Nakamoto aveva previsto questa situazione, per questo motivo la difficoltà computazionale necessaria per minare criptovalute si aggiusta automaticamente a seconda della potenza impiegata nella rete. Ovviamente ad oggi non è più possibile minare Bitcoin con chiavette USB, anzi esistono degli hardware particolari chiamati Antminer e prodotti da grandi aziende che consumano molta corrente elettrica.

Per rendere l’industria più performante molti miners, intorno al 2011/2012, hanno deciso di stabilizzarsi in stati in cui il costo della corrente elettrica è più competitivo come Cina, Bulgaria ecc.

Il consumo della corrente elettrica

Durante l’hype mediatico di Bitcoin e dei suoi derivati (Q4 2017) molte realtà attente alla sostenibilità ambientale hanno messo in guardia riguardo il consumo di energia elettrica utilizzato per minare le criptovalute, creando un allarmismo generale.

Secondo le stime approssimative redatte da Digicominist, durante l’anno 2017, per minare Bitcoin, sono stati consumati circa 32 Terawattora TWh. Ad oggi siamo arrivati a circa 50 TWh. Di fatto, la quantità media di elettricità usata per minare Bitcoin ha sorpassato i consumi energetici annuali medi di ben 159 nazioni.

E’ vero. Il consumo di energia elettrica destinato al mining di Bitcoin è elevato anche se l’attenzione ad esso rivolta è ingiustificata. Il consumo di energia, nel protocollo Bitcoin, è necessario per dimostrare la prova di lavoro (PoW) fatta dai miners, ovvero per verificare le transazioni. 

Lo stesso ruolo dai minatori nella verifica delle transazioni con moneta fiat lo occupano le banche. Purtroppo non ci sono stime dei consumi energetici (diretti e indiretti) degli istituti bancari mondiali, anche se molto probabilmente sono superiori a quelli attribuiti a Bitcoin. Questo vale per qualsiasi altra industria che opera su scala globale, avete idea di quanto costi in termini di elettricità il mercato cinematografico? Le schede grafiche (GPU) utilizzate per minare criptovalute sono le stesse utilizzate per fare il rendering dei film di Hollywood.

Riflessioni

Il mining di cryptovalute è, a tutti gli effetti un’attività manifatturiera e come tutte le attività di questo tipo, in cui la ricerca e sviluppo ha effetti dirompenti, è soggetta ad economie di scala.  Per questo motivo, ad oggi, molti degli hardware utilizzati per minare bitcoin sono venduti dalla società cinese Bitmain. 

A causa di questa dominanza si sono create alcune fratture all'interno della community. Secondo alcuni la dominanza di Bitmain nel settore potrebbe minare la decentralizzazione, principio bandiera del network. In molti però sono convinti che ciò non possa accadere. Secondo la legge di Moore, teorizzata nel 1965, ogni 3 anni le aziende riescono a produrre un chip (il responsabile della potenza computazionale) quattro volte più potente, in quest’ottica Bitmain, avendo più budget per ricerca e sviluppo avrebbe un vantaggio competitivo infinito. In realtà, la famosa teoria non rispecchia più l’andamento del mercato dei chip. Tra qualche anno non sarà fisicamente possibile creare chip più piccoli e performanti, di conseguenza quando si raggiungerà un plateau della crescita tutti i player operanti nel mercato dei chip riusciranno a produrre dei miners competitivi quanto quelli di Bitmain e si perseguirà nuovamente un’effettiva decentralizzazione. Per sapere cosa succederà non ci resta che aspettare.

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Gabriele Sabbatini

I hope my generation will leave the world better than we found it